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giovedì 28 ottobre 2010

L'Amazzonia è anche qui da noi


Un paio di giorni fa è stato pubblicato un documento che riporta le specie scoperte negli ultimi 10 anni in Amazzonia. Se lo scaricate troverete alcune specie di Apistogramma veramente affascinanti come Apistogramma barlowi e A. baenschi e tutta una serie di pesci ed altri animali di cui alcuni sono davvero impressionanti. Anche l'occhiata più rapida permette di sfiorare una biodiversità che noi europei possiamo solo sognare. Non voglio sminuire questo tesoro tropicale, ma bisogna però ricordare che ci piace cullarsi nelle nostre "sfighe": "Qua c'è poco di interessante" oppure "Tutto già noto". Tuttavia il già noto riserva continue sorprese. Lasciatemi spiegare meglio.
È da qualche anno (cinque per l'esattezza) che seguo gli anfibi di una zona umida costituita da alcune pozze di discrete dimensioni che stanno in una vecchia cava di argilla. In quest'area si trovano quasi tutti gli anfibi che è lecito aspettarsi in una zona di pianura lombarda: raganella italiana (Hyla intermedia), rana agile (Rana dalmatina), tritone punteggiato (Lissotriton vulgaris meridionalis), tritone crestato italiano (Triturus carnifex), rana verde (Pelophylax klepton esculentus). Manca la rana di Lataste (Rana latastei) che stranamente non frequenta l'area per la riproduzione (una volta ogni tanto si trova qualche esemplare erratico, ma nulla di più) e il rospo comune (Bufo bufo), ma quest'ultimo non se la passa molto bene ultimamente in pianura e ha visto una importante riduzione delle popolazioni.
In questi cinque anni ho monitorato la popolazione della rana agile che ho visto praticamente raddoppiare (non chiedetemi il perché, vorrei dire che è merito degli interventi che abbiamo pianificato, ma mentirei; la risposta è non lo so. Ci sto comunque lavorando!). Ho anche notato che la densità delle larve di tritone crestato è molto irregolare tra le diverse pozze: una pozza ha una quantità di larve che è praticamente doppia rispetto a tutte le altre. In base a questi dati ho spinto perché si studiasse anche la chimica dell'acqua della zona e l'analisi ha rivelato che la raccolta d'acqua incriminata ha una quantità di nitrati molto elevata rispetto alle altre. Casualmente la persona che ha analizzato l'acqua è un esperto di chironomidi e gli usuali rilievi idrobiologici standard hanno evidenziato un chironomide che in Italia è stata rilevato solo una volta circa una sessantina d'anni fa, in Umbria tra l'altro. In attesa della pubblicazione della notizia tengo riservato il nome della specie, ma appena diventa pubblico scriverò un aggiornamento. Posso solo dirvi che è una specie dalle abitudini particolari.

Una larva di chironomide.
Wikimedia Commons.

L'invito è quindi di lamentarsi meno e uscire di più. Nessuno può dire cosa troverete la fuori. Siamo in un momento favorevole dato che i boschi piantumati circa quarant'anni fa ora stanno maturando e ci sono buone opportunità di vedere qualcosa di nuovo. Non importa cosa guardate, ce n'è per tutti. Per concludere potrei raccontarvi anche di un pesce che sto seguendo da un po' e della cui distribuzione si sa veramente poco – vive nei fontanili, sì, ma quali? – ma questa storia la riservo per un'altra volta. Curiosi?

martedì 26 ottobre 2010

Le tilapia cinesi alla conquista del mondo.

Wikimedia Commons, Midgley DJ


Sono tilapia e di provenienza cinese, il che vuol dire che costano meno, molto meno di tutte le altre. Sanno di poco e per questo sono appetite da gran parte del mercato. Se leggete gli ingredienti sulla confezione trovate tilapia e monossido di carbonio (tranquilli, l'uso del monossido di carbonio è permesso in Europa e negli USA). Quest'ultimo viene spalmato sul pesce per conservarne il colore e per farlo sembrare più fresco. Tutto questo comunque non basta per fermarne l'irresistibile ascesa nelle mense di scuole e ospedali americani. A breve saranno anche nei nostri piatti insieme al persico del Nilo?
Se ne volete sapere di più leggete Il Sole 24 Ore e guardate il video di Businessweek che oggi si occupano di ciclidi.

Ringrazio Andrea Varisco per aver segnalato la notizia.

Abactochromis: un nuovo genere per Melanochromis labrosus. Coming soon

domenica 24 ottobre 2010

Per chi se lo fosse perso

Se, per caso, non lo aveste capito la coppia di Astatheros nourissati che ho in vasca ha circa una cinquantina di piccoli. Questo mi rende un acquariofilo orgoglioso del proprio operato. L'orgoglio termina non appena penso che in genere i ciclidi sono macchine da riproduzione e se non fai cappelle ci pensano loro, da soli, a figliare.

Femmina di Astatheros nourissati.


Da domani si torna alla normale programmazione. Ci sono un mucchio di novità.

Astatheros nourissati in riproduzione

Femmina di Astatheros nourissati con gli avannotti.


Astatheros nourissati è un ciclide diffuso in Messico negli affluenti orientali del sistema idrografico del Rio Usumacinta. Le popolazioni che vivono nei piccoli corsi d'acqua sono più colorate delle popolazioni che vivono nei fiumi più grandi che tuttavia hanno le labbra più grandi. La descrizione scientifica di questa specie si deve al francese Robert Allgayer ed appare nel 1989 nella rivista dell'Associazione Ciclidofila Francese. La scoperta di A. nourissati avviene per caso nel 1986 da parte di un gruppo di acquariofili viaggiatori costituito da Jean-Claude Nourissat, Antonio Hernandez Rolon e Jean Marie Omont. Altrettanto per caso nasce anche il mio innamoramento verso questo ciclide che ho potuto osservare per la prima volta nelle vasche di Gianni Ghezzi.
L'allevamento in acquario non è impegnativo purché l'acqua sia pulita e ben ossigenata e la vasca sia sufficientemente ampia. Il modo in cui i miei esemplari ingoiano la sabbia alla ricerca di particelle alimentari mi ricorda tanto quello dei ciclidi africani. Un vero spettacolo ed una ragione in più per avere un fondo costituito da sabbia. Vedere la coppia con i piccoli è uno spettacolo ancora più grande.

PS. grazie Gianni per aver sessato correttamente gli esemplari. Te lo dovevo.

mercoledì 20 ottobre 2010

Update e buona giornata delle Missine

Anton Lamboj mi ha scritto a riguardo degli Hemichromis letourneauxi che... Leggetevi l'aggiornamento.
Dimenticavo, Buon Hagfish Day a tutti (se non sapete cosa sono le missine, vertebrati dell'ordine dei Missiniformi, – ci tengo a specificarlo – ecco il link a wikipedia).

Wikimedia Commons



domenica 17 ottobre 2010

La storia dell'acquariofilia

Ripropongo un articolo che ho pubblicato qualche anno fa e che è la trascrizione abbastanza fedele di una conferenza che ho tenuto. Il tema potrebbe essere soporifero e quando mi è stato proposto ho pensato che si trattasse di una penitenza. In seguito ho apprezzato quanto fosse divertente ed appassionante scavare nella storia dell'acquariofilia. Lo ripropongo anche perché questo articolo mi ronza in testa dall'estate e il modo migliore per esorcizzarlo è parlarne. Durante l'estate ho letto un paio di libri che trattavano il periodo vittoriano e che mi hanno chiarito la propensione degli Inglesi dell'epoca verso il collezionismo, l'allevamento di animali e la coltivazione di piante tropicali. Se qualcuno ha qualche curiosità, appunto, notizia da segnalare si faccia avanti senza paura. Come ogni lavoro di ricostruzione storica ogni dato in più completa la visione.
Voglio dedicare questo post alla mia famiglia che sopporta tutto quanto l'acquariofilia comporta –i miei figli mi hanno chiesto come mai nelle altre case non ci sono acquari ed i miei genitori. Se non fosse stato per una vaschetta di plexiglass distrutta da mia madre durante la mia infanzia non sarei riuscito diabolicamente a sfruttarne il senso di colpa e a costringerla ad acquistare la mia prima vasca in vetro.


Cosa è un acquario? Cosa è l’acquariofilia? Quando nascono gli acquari? Per tracciare una breve storia dell’hobby dell’acquariofilia conviene partire da qui. Illustri predecessori hanno cercato di rispondere a queste domande, tra questi ricordiamo William Alford Lloyd (1876), Philip F. Rehbock (1980) e Stephen J Gould (1998) ed io utilizzerò molte delle loro riflessioni, ma poiché la discussione potrebbe portare lontano ed arrivare a sfiorare la filosofia mi riferirò soprattutto alla definizione di Gould che identifica un acquario con una “comunità stabile di organismi acquatici che possono essere osservati… di fronte e di lato attraverso vetro trasparente e acqua limpida” (Gould, I fossili di Leonardo e il pony di Sofia, 2004). In base a questa definizione di acquario è possibile suddividere la storia dell’acquariofilia in quattro fasi.
La prima fase consiste nell’allevamento a scopo ornamentale dei pesci che sono mantenuti in raccolte d’acqua situate in interno o all’esterno. Si può quindi partire dagli antichi Egizi che assegnavano ai pesci un significato religioso. Sono stati infatti ritrovati numerosi geroglifici dove si riconoscono chiaramente dei pesci e soprattutto Ciclidi del gruppo delle Tilapia. Le Tilapia, oltre ad essere fonte di proteine animali, erano sicuramente collegate alla rinascita; un indizio delle doti di naturalisti del popolo degli antichi Egizi che già si era accorto dell’incubazione orale. Le Tilapia erano inoltre associate alla fertilità e all’erotismo al punto che offrire una Tilapia era un invito all’amore! Gli antichi Romani allevavano murene e sono numerosi gli aneddoti riguardanti nobili che mantengono murene in piscine e che sono trattate come amanti capricciose. Alcuni testi riportano di murene che ricevevano regali preziosi e che alla morte venivano celebrate con intense cerimonie religiose. Per finire la sintetica trattazione di questa fase accenno brevemente agli stagni di pesci rossi allestiti dai Cinesi oltre duemila anni come ornamento dei palazzi dei potenti.
Nel secondo stadio si passa ai contenitori trasparenti. La prima persona ad allevare pesci di cui si ha notizia è un francese, Jeanne Rondelet, che mantiene un pesce in un contenitore di vetro per tre anni (nel decennio 1530-1540). Perché l’allevamento di pesci in bocce di vetro diventi moda occorre tuttavia spostarsi in Gran Bretagna nella seconda meta del ‘700 dove numerosi celebri personaggi gareggiano nel mantenimento di creature acquatiche. Una delle personalità più illustri è il letterato Horace Walpole, quarto Conte di Oxford. Agli inizi dell’800 si ha notizia di un altro gentiluomo, Sir John Graham Dalyell, che alleva per diversi anni animali marini in contenitori cilindrici di vetro. Ogni giorno si provvede a cambiare l’acqua di ogni vaso che contiene un solo animale. L’organismo più longevo della collezione è un anemone che sopravvive al barone e a numerosi suoi eredi che di volta in volta lo ricevono come “gradita” eredità (l’anemone visse dal 1828 al 1887). Nel 1846 Lady Thynne, nobildonna londinese, riceve delle madrepore che alleva in due vasi di vetro per diverso tempo. Non potendo permettersi, per la lontananza dal mare, un rifornimento giornaliero di acqua marina come avveniva per Sir John, Lady Thynne area l’acqua giornalmente. Ecco il racconto dell’operazione: “Pensai che la si dovesse areare, versandola da un recipiente all’altro e viceversa davanti a una finestra aperta, procedendo ogni volta nello stesso modo per una ventina di minuti prima di usarla. Era senza dubbio un’operazione faticosa; ma avevo una piccola domestica che, oltre a essere piuttosto ansiosa di servirmi, la considerava quasi un divertimento”. Successivamente, per cercare di raggiungere una situazione analoga all’equilibrio naturale, vengono aggiunte al “biotopo” delle alghe marine.

Nathaniel Bagshaw Ward, Wikimedia Commons


Il terzo stadio dell’acquariofilia è la cosiddetta “follia vittoriana” in cui l‘acquario inizia ad essere considerato una rappresentazione in miniatura di un piccolo un ambiente acquatico naturale. Nello stesso periodo nascono i primi esercizi commerciali che forniscono pesci, materiale tecnico e libri.Il padre dell’acquario è Nathaniel Bagshaw Ward (1791-1868). Ward è passato alla storia per aver creato un sistema chiuso autosufficiente adatto alla crescita di piante senza che fosse necessario alcun intervento umano. L’ invenzione di Ward permise per la prima volta il trasporto in tutto il mondo di piante. Il sistema si rivelò talmente efficiente che venne soppiantato unicamente dall’introduzione dei sacchetti di polietilene. Tutto nasce, come al solito, per caso. Ward raccoglie una crisalide e per osservarne lo sviluppo la mette in un vaso di vetro (1829). Della crisalide non se ne è mai saputo il destino, ma è noto che nel vaso, dove era presente anche una manciata di terra, nascono muschi e felci. Il Wardian case (il contenitore di Ward) trova velocemente diffusione in molte case britanniche e dal 1840 al 1850 conquista prepotentemente tutto l’Impero con la pteridomania, la mania delle felci. L’acquario nacque per mano di un amico di Ward, JS Bowerbank, che, preso un contenitore rettangolare di vetro, lo riempie d’acqua e lo sigilla con un coperchio. Purtroppo non è nota la data in cui Bowerbank realizza il proprio esperimento.

Acquario del 1856, Wikimedia Commons

L’acquariofilia moderna viene fatta risalire a Robert Warington che nel 1849 installa nella Hall dei Farmacisti londinesi un acquario d’acqua dolce che sarà accompagnato nel 1851-52 da uno marino destinato ad anemoni. Ogni giorno Warington tiene una comunicazione sull’andamento dell’acquario d’acqua dolce. Per ovviare al problema della decomposizione delle foglie di Vallisneria, Warington introduce delle lumache acquatiche che iniziano ben presto a riprodursi. Le piccole lumachine vengono mangiate dai pesci che ne tengono sotto controllo la popolazione. Ha così origine la teoria dell’equilibrio:gli scambi gassosi tra animali e piante sostengono l’ambiente mentre le lumachine lo tengono pulito. Questa legge viene ben presto recepita anche nei libri naturalistici che all’epoca godono di grande diffusione. Ad esempio è possibile citare Shirley Hibberd (nonostante il nome si tratta di un maschio!), un noto divulgatore del tempo: “L’acquario esemplifica in un modo istruttivo la grande bilancia di compensazione che in natura conserva l’equilibrio nella vita animale e vegetale”.

Philip Henry Gosse, Wikimedia Commons

Tra i primi acquariofili trovano posto anche alcuni tra i massimi scienziati e divulgatori del periodo come Philip Henry Gosse (1810-1888). Nel 1852 Gosse inizia a sperimentare l’acquario e nel 1854 pubblica il primo libro sull’acquario, una vera miniera di consigli riguardanti l’allevamento e la manutenzione. Ecco alcuni suggerimenti: “A Londra ci si può facilmente procurare acqua di mare pagando un modesto compenso al capitano o al cambusiere dei vari battelli a vapore che fanno servizio fra la città e il mare, e chiedendogli di prenderla nelle acque pulite del mare aperto, al di là della portata dei fiumi. Io mi facevo riempire un barile di venti galloni, pagando un paio di scellini”. Oppure: Quanto più è breve il periodo durante il quale gli esemplari sono in transitu, tanto meglio. Perciò dovrebbero sempre essere inoltrati con treno postale, ed essere ricevuti al capolinea direttamente dal proprietario, oppure essere spediti con l’avvertenza “Da recapitare immediatamente per mezzo di uno speciale fattorino”. La spesa aggiuntiva per questo servizio precauzionale extra è molto modesta, e può salvare metà della collezione da una morte causata da un’attesa troppo lunga”. Uno dei primi schemi di acquari si deve a Thompson (1853). Si tratta di un acquario rettangolare di grandi dimensioni (circa quattro metri) dove, per imitare le maree, giornalmente viene tolta dell’acqua. In quel lontano periodo l’acquario in vetro dalla forma rettangolare è ancora troppo costoso per il mercato di massa e la vasca più diffusa è a forma di cupola. I primi acquari erano le cupole di vetro per orologi che ancora adesso sono in uso. Purtroppo si rivelano troppo fragili e ben presto si cerca altro. Per un certo periodo si propone anche l’acquario a bovindo. Quando la tassa sul vetro viene abrogata, gli acquari rettangolari trovano maggior diffusione e vengono abbelliti con ornamenti in metallo. Un altro modello dell’epoca è la vasca a camera scura ad inclinazione posteriore. Si tratta di una vasca dal cui vetro posteriore parte un piano inclinato che crea uno spazio sottostante negato ai pesci. In questo modo si produce una minima circolazione d’acqua tra la parte visibile dell’acquario e la camera scura. Si toglie inoltre spazio ai pesci evitando il problema del sovraffollamento. Altri acquari del periodo realizzano la circolazione dell’acqua con getti d’acqua.

Wardian Case, Wikimedia Commons

La passione per l’acquariofilia di uno dei personaggi chiave del progresso dell’hobby in epoca Vittoriana nasce in un giorno di riposo concesso per il funerale del Duca di Wellington. Così, il 18 novembre 1852, Mr. William Alford Lloyd visita il giardino zoologico di Regent’s Park dove viene a conoscenza dell’apertura della “Fish House”. Questa è la scintilla che fa scattare in Lloyd il furore della passione. Lloyd acquista una boccia, ma i pesci muoiono nel primo giorno per insufficienza di ossigeno (la boccia era riempita completamente d’acqua). L’insuccesso lo spinge ad acquistare una seconda boccia e a sperimentare diversi livelli dell’acqua e l’esposizione al sole (che influenza ovviamente la temperatura del sistema). La lettura del libro di Gosse spinge Lloyd ad allevare animali marini e come lui si concentra sugli anemoni. Occorre notare che in quel periodo iniziano a circolare le prime ricette per preparare l’acqua marina artificiale. D’altronde molti acquariofili dell’epoca sono chimici di professione. Il 14 luglio 1855 Lloyd apre il suo primo negozio di acquari al 164 di St John Street. Nel 1856 sposta l’attività e nasce “The Aquarium Warehouse”, un negozio molto più grande e con un notevole assortimento: il listino è di 125 pagine. Nel frattempo Lloyd è invitato a terminare l’installazione dell’acquario pubblico di Bois de Boulogne in Parigi. La mania degli acquari è ormai al termine e l’attività di Lloyd subisce il fallimento economico. Con la raccomandazione di Robert Owen, il primo direttore del Museo di Storia Naturale di Londa, Lloyd viene assunto all’acquario di Amburgo. Parallelamente al fiorire dell’acquariofilia, anche gli acquari pubblici vivono un momento di grande successo. Il primo acquario pubblico al mondo è quello di Regent’s Park mentre il primo acquario privato è quello di Napoli (1874) che nasce espressamente per la ricerca scientifica. La maggior parte degli acquari pubblici del periodo si occupava esclusivamente del divertimento del pubblico e per nulla di ricerca e divulgazione. Un acquario pubblico che incrocia il destino di Lloyd è quello del Crystal Palace la cui costruzione inizia nel 1870. All’apertura sono allestiti 38 acquari marini con una riserva d’acqua di 450.000 litri. Come direttore viene chiamato Lloyd, ma ben presto anche il Crystal Palace entra in crisi finanziaria e chiude. Lloyd è nuovamente all’apice del successo e in cerca di un lavoro e poco dopo muore (1880). Il suo contributo all’acquariofilia consiste nella scoperta del filtro sottosabbia, del filtro a sabbia, del filtro a carbone, dell’effetto della luce sulla vita acquatica microscopica. Al termine della “follia vittoriana” per gli acquari è possibile chiedersi perché l’acquariofilia sia nata proprio in Gran Bretagna e non in altri paesi. Ovviamente la risposta sta in una serie di concause. Nella presenza di una nozione filosofica riguardante gli equilibri naturali. In un sistema sociale fondato sulla ricchezza di pochi che hanno a disposizione uno stuolo di servitori (la servetta che cambia l’acqua a Lady Thynne è solo un esempio). A mio parere la causa fondamentale sta nella propensione squisitamente propria della società vittoriana allo studio e alla contemplazione della natura. Basta leggere alcuni passi dei libri naturalistici dell’epoca per rendersene conto: “Una casa di buon gusto è una casa raffinata, in cui ogni cosa riflette gusti distinti e desideri casti. In una tale casa la Bellezza presiede all’educazione dei sentimenti e mentre l’intelletto matura grazie ai molti mezzi che esistono per l’acquisizione della conoscenza, la natura morale è affinata da quei taciti appelli alla Natura e all’Arte che non i fondamenti del Gusto”. Come mai la moda dell’acquariofilia termina così repentinamente? Credo che la risposta stia nel fatto che l’interesse del pubblico verso un hobby diminuisce quando le persone si accorgono che per avere successo in quella passione occorre imparare ed apprendere alcuni principi scientifici di base.
Siamo arrivati alla ultima fase della storia dell’acquariofilia, quella del continuo progresso tecnologico e soprattutto della biologia “applicata” all’acquariofila. Partiamo dall’illuminazione. Tutto ebbe inizio nel 1675 con l'astronomo Jean Picard che osservò una strana luce originata da un tubo barometrico al mercurio. Occorre compiere un salto di quasi due secoli e passare al 1854, anno in cui l’orologiaio Johann Heinrich Goebel inventa la prima lampadina ad incandescenza. L’anno successivo Heinrich Geissler produce la prima lampada a scarica di gas (anidride carbonica). A partire dai primi anni del 900 l'anidride carbonica venne sostituita da vapori metallici e altri gas come il neon. Nel 1902 Georges Claude produsse il primo tubo al neon che verrà presentato al pubblico nel 1910 a Parigi. Nel frattempo (1905) il sottile e delicato filo di carbone è sostituito da una lega di osmio e volframio (tungsteno): nasce la OSRAM. Contemporaneamente inizia a diffondersi l’elettricità nelle case. Gli acquari cominciano ad essere illuminati con luce artificiale anche se la maggior parte sfrutta ancora la luce naturale. Gli acquari sono di vetro e ardesia legati da mastice. Nascono riscaldatori elettrici a provetta, aereatori, pompe di movimento. La prima pompa nasce nel 1908 in Germania ed è alimentata ad acqua. La pompa a pistone sarà in seguito sostituita da una pompa a membrana ad aria.
La più grande innovazione tecnologica che porterà ad un grande sviluppo nell'acquariofilia e che si deve alla seconda guerra mondiale è lo sviluppo del traffico aereo che è in grado di spostarsi da un continente ad un altro Dopo il disastro umano ed economico della guerra mondiale l'occidente conosce anni di crescita economica e la diffusione della cultura del tempo libero e dell'hobbistica (un tempo riservata a nobili e ricchi). Nasce l'industria del divertimento e dell'hobby con la conseguenza che le innovazioni tecnologiche acquisite da molto tempo vengono ora applicate all'acquariofilia. Riprendiamo dall’acquario d’acqua dolce con il dopo Lloyd. Come già detto all’inizio del 900 compaiono i primi riscaldatori che provvedono in parte a riprodurre il calore dei Tropici. Gli acquari vengono riscaldati principalmente con bruciatori a petrolio e coke. Nel 1914 arrivano sul mercato i sistemi di aereazione. La ricchezza di idee per immettere nell'acqua dell'acquario aria ed ossigeno per i pesci è enorme. È l'epoca delle pietre porose che hannol'effetto supplementare di procurare un modesto flusso dell'acqua. Nel 1930 nasce l'Acquario Olandese. Da allora non sembrano esserci maggiori progressi nel campo dell’acqua dolce. Questo mi spinge a spostarmi verso l’acquario marino. La concezione di acquario marino degli anni ‘50 prevede una vasca compresa tra i 60 e i 70 litri con una potente filtrazione e aereazione (filtro sottosabbia) nella quale vengono inseriti scheletri di coralli preventivamente lavati e sterilizzati. L’illuminazione a corredo era debole per prevenire le fioriture algali. In quel periodo cominciano a comparire le prime miscele di sale marino artificiale. Nel 1957, nonostante le difficoltà legate soprattutto alla mancanza di conoscenza sulla biologia degli organismi allevati, il Dr. J. Gernaud riproduce Dascyllus trimaculatus. Nel 1951 il Dottor Ulrich Baensch, un giovane biologo ricercatore, applica i risultati delle sue ricerche al campo dell'alimentazione dei pesci tropicali e rende possibile per la prima volta la produzione del mangime per pesci in fiocchi su scala industriale. Baensch chiama il suo prodotto 'TetraMin'. Con questa rivoluzione nella produzione del cibo per pesci, Tetra è stata la prima azienda ad offrire a chiunque la possibilità di tenere pesci tropicali in casa. Il grande boom economico della Germania degli anni ’60 favorisce la diffusione dell'acquariofilia e la nascita delle prime ditte con settori dedicati all'acquariofilia. Nel 1960 Norbert Tunze produce la prima Powerhead. Il tutto ha origine dalla riparazione di una pompa Eheim e dal fatto che l’azienda costruttrice, contattata da Tunze, non è interessata al mercato acquariofilo. Nel 1963 a Solingen un appassionato nota la formazione di schiuma marrone all'uscita del filtro sottosabbia e segnala la scoperta al Max Planck Institute for Ethology. Norbert Tunze e Erwin Sander lanciano sul mercato, quasi in contemporanea, il primo schiumatoio. Nel 1962 Eheim sviluppa una pompa centrifuga a trasmissione magnetica che è originariamente progettata per fontane (Eheim nasce nel 1949 per iniziativadi Gunther Eheim che fonda una compagnia di riparazioni di giocattoli). Nel 1971 sono commercializzati più di 100.000 pompe centrifughe. In quegli stessi anni Mr. Eugen Jäger produce il primo termoriscaldatore immergibile che consiste di un tubo di borosilicato in cui sono inseriti una resistenza e un termostato bimetallico. Vengono prodotti anche i primi sterilizzatori UV sigillati. Nascono ditte specializzate nella produzione di sale marino artificiale (Hans Weigandt's, Tropic Marin, Instant Ocean). Compaiono le prime riviste e i primi libri divulgativi dedicati all'acquario marino ed i primi ozonizzatori. Nonostante le innovazioni tecniche disponibili, fino agli ultimi anni 60 una vasca marina era ancora simile a quella degli anni 50: è di dimensioni di 60/90 litri. Il filtro è sottosabbia e la sabbia coralligena è arredata con scheletri di corallo morto. In queste condizioni i coralli hanno una vita media di poche settimane a causa di mancanza di luce e cibo. La più grande innovazione che comincia a diffondersi negli anni 60 è il concetto che l’acquario non deve essere un ambiente asettico e sterile ma un ecosistema vivo. Lee Chin Eng scopre che nelle vasche con rocce vive si ottengono ottimi risultati. Ciò che ancora manca è la conoscenza degli organismi e delle loro necessità...
Negli anni ’70 la cultura e il boom tecnologico influenzano notevolmente l'acquariofilia: si cerca di risolvere qualunque problema con complicate apparecchiature. La maggior parte degli acquariofili marini persiste nella concezione della vasca sterile con pochi pesci e frequente uso di rame per le malattie. I trasporti aerei si fanno più veloci, i sistemi di imballaggio e spedizione migliorano, sfortunatamente incomincia la pratica della pesca con il cianuro. Gli anni ’80 vedono ancora una volta la Germania in pole position. La Germania blocca l'importazione dei pesci farfalla e angelo. Le nuove scoperte riguardanti i fattori basilari per l'allevamento dei coralli e il blocco di importazione dei pesci stimolano l'interesse degli acquariofili marini per gli invertebrati. Gli acquari sono illuminati da nuovi sistemi di illumunazione, le lampade HQI e le lampade attiniche (di derivazione ospedaliera, stimolano la sintesi di pigmento e vitamine nei neonati). Diversi sistemi di filtraggo (schiumatoi, reattori di calcio, riscaldatori) sono ormai a disposizione del grande pubblico.
Abbiamo ormai finito e siamo arrivati al presente. Il resto è cronaca e solo il tempo potrà aiutarci nella valutazione.


Alcuni link interessanti ed una raccomandazione: alcuni tra i libri citati si trovano in google books.

Parlour aquarium

History Aquarium

Wikipedia

giovedì 14 ottobre 2010

Quando a scegliere è il maschio. Ovvero cosa guardare in una femmina

Femmina di Pelvicachromis taeniatus

Della ruota del pavone, delle corna di Megaloceros, delle appendici dei coleotteri come tratti sottoposti alla competizione tra maschi si è parlato molto; il meccanismo prevede che solo i maschi più dotati possano accedere agli accoppiamenti. Meno noti invece sono gli esempi in cui sono le caratteristiche delle femmine ad essere selezionate, soprattutto se si tratta di pesci. È il caso di Pelvicachromis taeniatus, un Chromidotilapino dell'Africa occidentale. I Chromidotilapini sono una tribù di ciclidi di piccole dimensioni dell'Africa occidentale che può essere ritenuta con discreta sicurezza monofiletica. Le cure parentali spaziano dalla deposizione su substrato in cavità fino all'incubazione orale. I sessi sono in genere facilmente riconoscibili, soprattutto perché spesso le femmine sono più belle dei maschi (non è la norma del regno animale, quindi non godete troppo del caso). In passato mi ero occupato dei Pelvicachromis taeniatus perché hanno gli spermatozoi più lunghi di tutti i ciclidi (70 micrometri, nulla in confronti ai 5,8 cm di alcuni moscerini, ma noi vertebrati ci riteniamo sempre superiori), un aspetto che è collegato generalmente ad una forte competizione spermatica tipica di comportamenti sessuali promiscui. Ora invece la cronaca ci consegna il primo caso in cui un ornamento femminile risulta essere sottoposto a pressioni selettive da parte dei maschi. Le femmine di P. taeniatus, infatti, posseggono splendide pinne pelviche violette che assumo lo stesso colore del ventre quando sono pronte a deporre. Dallo studio condotto risulta che i maschi sembrano prediligere femmine con pinne pelviche particolarmente sviluppate. Il motivo potrebbe essere che solo individui sani e forti possono avere pinne di questo genere ed una madre con queste caratteristiche è una femmina che fornisce ampie garanzie di avere figli robusti.
La notizia non mi stupisce più di tanto. Mi stupisce, invece, il fatto che in passato si considerassero gli ornamenti femminili come caratteristiche non adattative. Nel caso dei Pelvicachromis per esempio non si è mai tenuto in considerazione il loro sistema sociale che prevede la formazione di una coppia con una evidente divisione delle cure parentali ed un diverso investimento di risorse. È ovvio che ciascuno dei due partner cerchi il compagno migliore; si forma una coppia stabile, perlomeno per un certo periodo di tempo, ed il maschio, pur essendo quello che investe meno, è costretto in qualche modo a limitare il numero delle scappatelle e a impegnarsi nel legame. Mi pare quindi opportuno che prima di accasarsi scelga con cognizione di causa.


Baldauf S. A., Bakker T. C. M., Herder F., Kullmann H., Thunken T. 2010. Male mate choice scales female ornament allometry in a cichlid fish. BMC Evolutionary Biology, 10: 301.

martedì 12 ottobre 2010

Haplochromis katonga, l'Haplochromis che non ti aspetti

Haplochromis katonga
Fotografia di Erwin Schraml. Tutti i diritti riservati

Ancora una nuova specie, ma questa volta proveniente dall'Africa. L'aspetto tassonomico più interessante di questo ciclide riguarda il nome Haplochromis, un genere che era stato smembrato in passato, ma che ultimamente sta tornando ad essere appetibile per ragioni che spiegherò a breve in un post dedicato.

Haplochromis katonga n. sp.

Diagnosi Specie di ridotte dimensioni con un tipico corpo da Haplochromino. I maschi in livrea riproduttiva mostrano una testa ed un dorso marrone scuro. La pinna caudale è prevalentemente rossa come l'anale che porta due macchie a uovo di medie dimensioni. Le pinne ventrali sono nere. Le femmine possono essere marroni o bluastre dalle pinne leggermente ialine.

Distribuzione Diffuso esclusivamente nel fiume Katonga nei pressi di Kabagole, Uganda.

Ecologia Nel periodo di raccolta degli esemplari della serie tipo, il fiume Katonga ricorda una zona di acqua stagnante ripiena di piante acquatiche. La specie vive in simpatria con Barbus sp., Clarias sp., Ctenopoma muriei, Oreochromis sp., e Pseudocrenilabrus multicolor victoriae. Alcune di queste specie sono dotate di organi di respirazione accessori che denotano un ambiente a ridotto tenore di ossigeno. Questo potrebbe spiegare perché H. katonga sia stato raccolto in basse densità. L'analisi molecolare dimostra che questa specie è affine agli haplochromini del lago Vittoria.

Note Questa specie non appartiene al genere Astatotilapia perché i maschi adulti non esibiscono il classico cambiamento di forma dei denti della fila più esterna che da bicuspidi diventano unicuspidi.

Ringrazio Erwin Schraml per aver dato il permesso di utilizzare la fotografia di questo ciclide.


Schraml E., Tichy H. 2010. A new species of Haplochromis, Haplochromis katonga n. sp. (Perciformes: Cichlidae) from the Katonga River, Uganda. aqua, International Journal of Ichthyology, 16(3): 81-92.

domenica 10 ottobre 2010

Un alieno, due alieni, tre alieni... una folla di specie alloctone

Amatitlania nigrofasciatus.
Wikimedia Commons, Hippocampus

A gennaio avevo parlato di un nuovo rinvenimento di Oreochromis niloticus in una località italiana, ma la notizia di oggi è che ormai in Italia non ci si limita a rinvenire specie aliene isolate, ma intere comunità alloctone. È il caso di un corso d'acqua toscano alimentato da acque termali che vede oltre al solito Oreochromis niloticus anche Amatitlania nigrofasciatus, Hemichromis sp, Poecilia sphenops e Pterygoplichtys pardalis! Dai dati raccolti le popolazioni di ciclidi sono costituite da varie classi d'età, indizio che si arriva alla riproduzione, perlomeno nelle acque termali.
Non si conosce come tutte queste specie siano arrivate a Fossa Calda, ma nell'articolo si ipotizza il rilascio intenzionale (avete presente che fine fanno le varie tartarughe acquatiche in commercio una volta che crescono troppo?). I tropici sono alle porte e li abbiamo portati noi.


Piazzini S., Lori E., Favilli L., Cianfanelli S., Vanni S., Manganelli G. 2010. A tropical fish community in thermal waters of southern Tuscany. Biol Invasions, 12: 2959–2965.

giovedì 7 ottobre 2010

Votate gente, votate


Anche quest'anno si è tenuto l'usuale concorso di microscopia sponsorizzato da Nikon. Il vincitore sarà annunciato il 13 ottobre, ma questa volta possiamo votare anche noi. Quindi collegatevi al sito e dateci dentro.

lunedì 4 ottobre 2010

Gioielli dall'altra Africa: Hemichromis

Coppia di Hemichromis letourneauxi
Fotografia di Mario Trioli

Sul mio faccialibro arriva di tutto, ittiologicamente parlando. L'altro giorno mi è stato chiesto come conservare un pezzo di pinna per un'analisi molecolare. Si tratta di una coppia di Hemichromis letourneauxi raccolta in Etiopia (nei pressi di Gog, non lontano da Gambela, zona occidentale dell'Etiopia verso la frontiera con il Sudan) il cui DNA potrebbe servire a Anton Lamboj. A questo punto ho chiesto le fotografie ed una la vedete in apertura.
Per ora non sono colorati come potrebbero esserlo degli Hemichromis guttatus o dei cristatus o dei lifalili, ma chissà cosa ci riserva il futuro.

Hemichromis guttatus selvatici provenienti dalla Nigeria
Fotografia di Paolo Salvagiani

La bella notizia è che Anton Lamboj sta lavorando ad una revisione del genere. Non è un segreto che vi siano due grandi gruppi di Hemichromis: i pesci gioiello e quelli a cinque macchie. I primi sono caratterizzati da una macchia nera sull'opercolo e spesso anche da un'altro sul peduncolo caudale. In molte specie vi è anche un'ulteriore macchia a metà corpo. Il secondo gruppo possiede una livrea giallo-brunastra con un ocello scuro sull'opercolo e 4-5 macchie sui fianchi. Il casino tassonomico si ha nei pesci gioiello. Sono infatti quelli più variabili, l'ultima revisione seria è datata 1979 e si hanno a disposizione pochissimi dati sulla loro distribuzione. Ad aggiungere carne al fuoco si è messo anche il mercato acquariofilo che è stato invaso da numerose forme che hanno ricevuto improbabili nomi commerciali.
Da giovane, ai tempi in cui girando per negozi milanesi chiedevo i nomi di tutti i ciclidi esposti, – la risposta più precisa era spesso "Si chiamano ciclidi" tutti i pesci gioiello erano chiamati Hemichromis bimaculatus. Ormai è abbastanza chiaro che questo ciclide è stato importato molto raramente. È giunto il momento di progredire.

Per chi fosse interessato all'hobby di conservare parti di pinne sappiate che val la pena farlo solo con individui selvatici, che la pinna deve essere messa in alcool a 90° e che andrebbe prelevata con un elettrobisturi per non stressare eccessivamente l'animale. Tanto per metterla sul personale nuovamente sappiate che in cantina ho una discreta collezione di pesci selvatici conservati in alcool. Si tratta di ciclidi del lago Tanganica che qui non nomino perché alcuni conoscenti potrebbero togliermi il saluto data la rarità delle specie. Mi serviranno per iniziare finalmente il mio viaggio nella sistematica dei ciclidi e mi furono portati direttamente dal lago alcuni anni fa da un amico. Grazie.
Un grazie a Gianni Ghezzi per avermi segnalato questi pesci e a Mario Trioli e Paolo Salvagiani che mi hanno fornito le fotografie di questo post.

Update: Anton Lamboj mi ha scritto che dalla fotografia questi esemplari potrebbero essere Hemichromis guttatus e che il loro ritrovamento così a est è davvero interessante.

sabato 2 ottobre 2010

Altro che ciclidi: il ritorno delle scimmie di mare


Negli ultimi giorni il blog sta avendo un numero di accessi spropositato rispetto al solito, raggiungendo picchi che nei due anni di vita (il secondo compleanno è oggi) non si erano mai visti. Ravanando tra le statistiche mi sono accorto che la maggior parte dei visitatori atterra sul post delle scimmie di mare e degli anostraci nostrani. Non ho capito il perché finché non ho visto lo spot su Italia 1 che le pubblicizzava. Le scimmie di mare sono tornate! Altro che ciclidi. Domani apro un blog che si chiama Scimmie di mare e mi do alla pura divagazione. Allora sì che le visite si impenneranno.
Nella fremente attesa ecco una fotografia scattata dall'amico Dario che ritrae alcuni nauplii di Artemia salina. Se ne sentite il bisogno penso ad un post vero e proprio sul suddetto crostaceo. La ritengo questione di blog scientificamente seri come L'orologiaio miope. Però...

Fotografia di Dario Fassini.

Se non vedete con chiarezza le scimmie di mare utilizzate gli occhiali a raggi X.

venerdì 1 ottobre 2010

Cyathopharynx: ciclidi che costruiscono crateri

Cyathopharynx furcifer è un ciclide endemico del lago Tanganica appartenente alla tribù degli Ectodini. Si tratta di una specie ad incubazione orale materna i cui maschi vivono in gruppi chiamati lek dove hanno la possibilità di mettersi in mostra di fronte alle femmine prossime alla riproduzione. Per appartenere ad un lek un maschio di Cyathopharynx deve costruire un cratere di sabbia che fungerà da talamo nuziale. Dopo l'accoppiamento la femmina se ne va per occuparsi della prole da sola, mentre il maschio continuerà ad attirare altre femmine. Generalmente i maschi al termine della stagione riproduttiva abbandonano l'arduo compito della riproduzione dato che mantenere simili castelli di sabbia richiede un dispendio energetico notevolissimo.
Un recente studio ha sondato il ruolo dei crateri nella scelta dei maschi da parte delle femmine di Cyathopharinx furcifer nella località di Kasakalawe Bay nei pressi Mpulungu in Zambia. Un cratere poteva essere distrutto, ingrandito, ridotto oppure disturbato, nel senso che i paraggi venivano manipolati.
Ancora una volta si è osservato che "bigger is better"; le femmine visitavano maggiormente i maschi più attivi e con i crateri più grandi – la solita storia dell'individuo più dotato e facoltoso? Una delle spiegazioni suggerite è che le femmine potrebbero essere attirate dai crateri più grandi perché sono più evidenti, ma non necessariamente visitare maggiormente un cratere significa accoppiarsi con il possessore. Un aspetto interessante riguardante la grandezza dei crateri è che nei castelli di sabbia che erano stati allargati artificialmente dagli studiosi, il proprietario si preoccupava di ridurlo alle dimensioni originarie. Qualcosa del genere è stato osservato anche negli uccelli giardinieri i cui nidi erano stati arricchiti di oggetti: i maschi proprietari riducevano lo sfarzo del nido probabilmente per evitare attacchi da parte degli altri maschi che sapevano che i possessori non erano all'altezza del nuovo nido.
Tuttavia la grandezza del nido sembra essere solo la una delle caratteristiche ad essere prese in considerazione dalle femmine dato che durante la perlustrazione del luogo esse considerano anche altre proprietà dei nidi. Nell'articolo si trovano ulteriori informazioni e quindi scaricatelo dal link in calce al post. Prima di concludere un paio di considerazioni.
La prima riguarda la confusione tassonomica in cui sembra giacere il genere Cyathopharynx. In molte località sono presenti due forme di furcifer, una chiara ed una scura, che su suggerimento di Ad Konings sono state identificate come Cyathopharynx furcifer e C. foae. Il riconoscimento della seconda specie non è ancora avvenuto da parte della tassonomia ufficiale. In secondo luogo anche gli autori di maggior prestigio compiono errori che non vengono corretti neppure dai revisori. Il termine cf che accompagnato al nome di una specie significa confronta non può essere scritto c.f. Hanno ragione a dire che la tassonomia è una disciplina in declino.

Schaedelin F. C., Taborsky M. 2010. Female choice of a non-bodily ornament: an experimental study of cichlid sand craters in Cyathopharynx furcifer. Behav Ecol Sociobiol, 64: 1437–1447.


PS. il filmato in questione riporta dei Cyathopharynx in riproduzione solo negli ultimi minuti.