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martedì 31 agosto 2010

Acqua in bocca



Attenzione, questa è una divagazione bella e buona; non vi sono ciclidi; non vi sono tassonomia o ipotesi filogenetiche (meno male dirà qualcuno), non vi sono rane, fontanili, anfibi o strani crostacei capovolti. Quindi, astenersi perditempo.

Sono in vacanza ancora per qualche ora e sono in cerca di quello svago che solo la lettura può dare. Nell'ultimo periodo mi sono sorpreso ad evitare i saggi scientifici - starò invecchiando? - e sono capitato su un volumetto (108 pagine) con in copertina un pesce rosso. Acqua in bocca recita il titolo e gli autori sono Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli. La trama è semplice: qualche morto, due commissari (Salvo Montalbano e Grazia Negro), due pesci rossi, un pesce combattente, una donna cattiva, molto cattiva, dei pesci farfalla, qualche acquario, dell'ottima cucina. Il fatto che la trama nasca dal rapporto epistolare tra i due autori che si rimpallano la vicenda è un piacevole contorno, ma al lettore non cambia di una virgola la lettura. Cosa potrei volere di più per una serata senza pretese a parte qualche decina di pagine in più?

Perché un acquariofilo dovrebbe leggere questo libro. Dove lo trovate un giallo o noir, che dir si voglia, in cui l'assassino lascia sulla scena del delitto un pesce combattente, meglio se nella gola della vittima?

Perché un acquariofilo non dovrebbe leggere questo libro. Perché è corto? Perché si ha la sensazione che sia solo uno scherzo tra scrittori? Perché dei gialli non ve ne frega niente? Perché, un acquariofilo legge?

Perché l'ho messo nel blog? Avete per caso saltato la prima parte del post? Tornate sopra e non distraetevi. Se tuttavia insistete nel cercare la verità, sappiate che sono un ragazzo semplice, che si accontenta di poco e che bastano qualche pesce e qualche vasca per commuovermi. Ma qui c'è di più; nella nota dell'editore si paragona il modo di procedere degli autori con quello di una partita a scacchi, ma non non di una partita qualunque dove due schiappe si sfidano a chi cappella di più pensando di avere trovate mosse artistiche, ma con quello della Botvinnik - Fisher giocata alle Olimpiadi di Varna del 1962. Una partita che ha visto versare tonnellate di inchiostro e di pixel di analisi e decine di giocatori di classe mondiale accapigliarsi per decretare come un arrogante diciannovenne americano avrebbe potuto vincere contro l'incarnazione della scuola scacchistica russa se non si fosse lasciato vincere dal nervosismo. Chapeau.



martedì 24 agosto 2010

Chiuso per ferie


Le ferie arrivano anche quando non te le aspetti e così questo blog se ne va in vacanza per qualche giorno (pochi, troppo pochi). Per farmi tornare al pc (che tra l'altro sarà in riparazione) penso che servirebbe perlomeno la notizia di una speciazione praticamente istantanea. E probabilmente sarei ugualmente troppo impegnato con l'usuale invasione di cavallette.
Settembre è un mese ricco di appuntamenti, uno fra tutti il Congresso AIC. Inoltre se tutto va come deve andare vi sono nuovi pesci all'orizzonte per i miei acquari . Tutto questo per dirvi che nella caverna di platonica memoria vi sono numerosi post in attesa. Vedranno mai la luce?

PS: se il servizio di assistenza HP non ha mentito la ripresa del blog non dovrebbe tardare molto oltre il mio ritorno .

lunedì 23 agosto 2010

Le scimmie di mare di casa nostra: anostraci nostrani


Ai bei vecchi tempi, siamo negli anni '70, tra le pagine di riviste a fumetti come L'intrepido, non era insolito trovare pubblicità che reclamizzavano le scimmie di mare. Mi ci vollero alcuni anni, ai tempi non c'era wikipedia, per capire che si trattava di Artemia salina, un crostaceo dell'ordine degli Anostraci. L'artemia trovava e trova tuttora tra gli acquariofili ampia diffusione perché produce uova da cui schiudono piccoli esseri chiamati nauplii che vengono dati in pasto agli avannotti di pesci. Gli zoologi maggiormente ossessionati dalla sistematica potrebbero aggiungere che gli Anostraci raccolgono specie con corpo allungato e sprovvisto di carapace, occhi su peduncoli e antenne che nei maschi possono assumere forme ramificate e complesse. La maggior parte degli Anostraci sono marini, ma vi sono anche specie d'acqua dolce. E qui arrivo io. Ogni anno, durante l'estate, cerco di procurarmi cibo vivo per i miei pesci d'acquario e nei sempre più rari momenti liberi esploro la campagna alla ricerca di larve di zanzara e di tutto ciò che possa essere ritenuto commestibile. Quest'anno, ravanando nel fondo di alcune pozzanghere formatesi nei solchi lasciati dai trattori, ho con piacere scoperto alcuni anostraci nostrani. Non conosco praticamente nulla della sistematica di questi organismi e quindi non oso avventurarmi molto sull'identificazione della specie. Potrebbe trattarsi di Branchipus schaefferi?


La fotografia non è posizionata male, questa è l'usuale postura di nuoto di questi crostacei.



sabato 21 agosto 2010

Fontanili e rane


Rana latastei

Anfibi e fontanili non sono in genere una buona accoppiata. L'acqua è troppo fredda e troppo corrente e soprattutto vi sono un sacco di pesci, per giunta predatori. Questo è il motivo per cui, da avvocato specializzato in cause perse, mi ero incaponito in una tesi che avrebbe unito i due (non mi importava se erano rane, rospi e tritoni, bastava che fossero anfibi). Dopo averne visitati una cinquantina, impiegando quasi tutto il periodo utile alla riproduzione, venne la fatidica sera in cui trovai un'ottantina di ovature di rana di lataste. La mia tesi nacque in quel posto, tra il profumo penetrante della menta acquatica ed il sapore della nebbia che allora non era come adesso (ho sempre desiderato scriverlo!). Eravamo agli inizi degli anni '90, quando della rana di Lataste, un endemita della pianura padano-veneta, se ne sapeva ben poco e trovare una stazione riproduttiva in un fontanile disperso tra gli interminabili campi di mais della pianura bergamasca era un fatto che destava un qualche stupore. La sorpresa fu ancora maggiore quando nel fontanile a poche centinaia di metri da questo, scoprii una colonia di rospo comune. Peccato che la sex ratio non fosse fra le ottimali: 50 maschi e due femmine (una era morta per annegamento, probabilmente dovuto ai troppi maschi che l'avevano coperta impedendole di tornare in superficie a respirare).


Del fontanile delle rane è rimasto poco dato che il terzo millennio ha portato via le alberature che ornavano le ripe del fontanile, eliminato i tini in legno sostituendoli con quelli in cemento e soprattutto mandato in secca la risorgiva per qualche anno. Benché qualche adulto lo abbia osservato, da allora non ho più trovato ovature di rana di Lataste. E del fontanile dei rospi? Quello subì una sorte forse peggiore: costruirono una passerella in legno sulle ripe e delle panchine in legno e di tanto in tanto immettono le trote per la giornata del giovane pescatore.


Lo strano caso dei Labetropheus (parte I)

Labeotropheus trewavasae "Katale"
Fotografia di Alessandro Lasagni

Rileggere Gould, Stephen J ovviamente, fa bene perché ti ricorda che parlare di scienza è utile purché si facciano esempi pratici e non ci si perda in divagazioni teoriche. A tornare con i piedi per terra per quanto riguarda le applicazioni del concetto di specie mi ha spinto un recente articolo riguardante i ciclidi del Lago Malawi del genere Labeotropheus.
Per coloro che sono nuovi ai ciclidi, i Labeotropheus sono quei buffi pesci del lago Malawi che possiedono un "naso" e che strappano alghe dalle rocce stando praticamente paralleli alle rocce stesse (in questo modo risentono meno dell'azione della corrente). Ora godetevi la storia tassonomica del gruppo.
Labeotropheus è un genere endemico di ciclidi del Lago Malawi che appartiene al gruppo degli Mbuna, i ciclidi che vivono a contatto delle rocce. Il genere Labeotropheus fu eretto nel 1927 da Christoph Gustav Ernst Ahl analizzando i ciclidi raccolti da Fuelleborn nella spedizione condotta nel 1897 sulle coste tanzaniane del lago. Le specie descritte da Ahl furono L. fuelleborni e L. curvirostris che furono distinte tra loro per la curvatura del muso. In seguito (1935) Ethelwin Trewavas dichiarò che curvirostris era un sinonimo di fuelleborni. Nel 1956 Geoffroy Fryer scoprì una specie di Labeotropheus dal corpo più allungato e cilindrico che descrisse in seguito come L. trewavasae. Nel 1983 Ribbink dimostrò che tra le due specie esisteva una chiara distinzione ecologica. L. fuelleborni era legato agli ambienti più superficiali (nei 5 metri di profondità), mentre L. trewavasae era legato ad ambienti più profondi (oltre i 15 metri). Ribbink stabilì anche che esistevano diverse popolazioni di Labeotropheus distinguibili tra loro per la colorazione maschile. Nelle località dove erano presenti due forme di Labeotropheus, quella più affusolata abitava sempre gli ambienti profondi, mentre quella più tozza era relegata in superficie. Ribbink concludeva che conveniva mantenere in uso il nome delle due specie finché nuove ricerche non avessero fatto luce sulla situazione. Dal 1983 di acqua, e soprattutto di pubblicazioni, ne è passata ma nessuno ha ascoltato il consiglio di Ribbink ed i Labeotropheus sono rimasti due.


Labeotropheus trewavasae "Thumbi West"
Fotografia di Alessandro Lasagni.

La domanda che sorge spontanea è: perché si sono mantenute dal punto di vista tassonomico le due specie di Labeotropheus invece che moltiplicarle come è stato fatto per altri generi di Mbuna? Il problema di fondo degli Mbuna, infatti, è che esistono numerose specie con popolazioni allopatriche i cui maschi mostrano colorazioni differenti che non si sa bene come etichettare. Specie diverse? Sottospecie? Le colorazioni maschili sono importanti perché le femmine riconoscono il partner in base al colore. Con il complesso di specie Pseudotropheus williamsi, ogni forma fu trattata come specie a sé stante, così come con le diverse forme del complesso Tropheops. Studi recenti hanno confermato che diverse popolazioni allopatriche di Mbuna, oltre che a differire per le colorazioni dei maschi, hanno anche discrete diversità genetiche, il che indica che le varie popolazioni sono isolate dal punto di vista riproduttivo. Nel caso dei Labeotropheus, invece, le diverse forme furono riferite alle due specie perché in ogni località si trovavano Labeotropheus tozzi di superficie ed altri allungati in profondità. Come dire: una specie viene definita in base all'altra. È vero che le due forme si distinguono anche per caratteristiche ecologiche, ma una differenza di questo tipo basta per definire una specie? Il fatto di abitare due ambienti diversi potrebbe essere una caratteristica ancestrale; come dire potrebbe equivalere allo stemma di famiglia che si eredita. Per definire una famiglia è sufficiente lo stemma (qualcuno in passato ha detto che basta)?
Chi si è occupato di sistematica degli Mbuna ha utilizzato fondamentalmente quattro concetti di specie: concetto di specie biologico, concetto di specie basato sul sistema di riconoscimento (secondo Paterson), concetto di specie Darwiniano (una presunta revisione del concetto di specie di raggruppamento genotipico) e concetto di specie evolutiva. Per evitare di imporre un post fiume, mi fermo qui. A breve la seconda parte.

martedì 17 agosto 2010

Breaking News: la spedizione in Congo di Melanie Stiassny... in un click

Giorni fa nel Percomorfo si parlava di ittiologi ed internet e in particolare di blog. Aggiorno la discussione citando il blog che la Dott.ssa Melanie Stiassny sta tenendo sul New York Times della spedizione in corso sul fiume Congo. Qui trovate il link. Non so quanto la Stiassny sia solita utilizzare il web e probabilmente il blog fa parte di un contratto di sponsorizzazione della spedizione, ma volete mettere.

Melanie Stiassny
© American Museum of Natural History

Melanie Stiassny, curatrice di ittiologia di una delle più grandi collezioni di pesci al mondo (si parla del Museo Americano di Storia Naturale) si è occupata spesso di ciclidi e numerose descrizioni di specie di questa famiglia la vedono come autrice (la prima specie che ho presentato quest'anno, Ptychochromis ernestmagnusi, tanto per rimanere nel 2010). Sicuramente questa spedizione porterà alla scoperta di nuove specie, ma in attesa di nuove aggiornamenti sto godendo della lettura del blog e delle relative fotografie: mi sembra di essere in pieno '800 quando i tropici erano terre vergini, perlomeno dal punto di vista naturalistico, e soprattutto quando solo dopo un viaggio ai tropici, preferibilmente dopo aver letto Alexander von Humboldt, potevi dirti naturalista.

lunedì 16 agosto 2010

Cichla temensis, non per tutti

Marko Lenac posa con delle fantastiche Cichla temensis.
Fotografia di Dalibor Kiršić scattata presso un importatore.

Come si diceva, ah sì: "Per molti, ma non per tutti". In questo caso direi che queste Cichla temensis non sono neppure per molti. Immaginate cosa possono fare predatori di questo tipo se introdotti in ambienti dove non erano presenti. In realtà per farsi un'idea basta cercare in Sud America, soprattutto negli invasi creati per la produzione di corrente elettrica.

Crenicichla hu, una nuova Crenicichla dal bacino del Parana'

Femmina di Crenicichla hu.
Fotografia tratta dalla pubblicazione, tutti i diritti riservati.

Maschio di Crenicichla hu.
Fotografia tratta dalla pubblicazione, tutti i diritti riservati.

Il 2010 era iniziato con un post del blog che aveva per tema uno studio condotto sul genere Crenicichla che vi consiglio di andare a (ri)leggere per inquadrare la descrizione di una nuova specie diffusa nella provincia di Misiones in Argentina. A questo punto il genere conta un'ottantina di specie e vanta almeno altre 120 forme che potrebbero diventare buone specie. Un aspetto interessante delle Crenicichla è che, oltre a poter diventare un buon esempio di radiazione dei ciclidi al di fuori del "trito e ritrito" continente africano, diversamente dalla maggior parte dei pesci sudamericani che mostrano la maggior diversificazione nella regione amazzonica, hanno nella regione meridionale del Sud America un'area di elevata speciazione. In questo studio per l'analisi delle relazioni filogenetiche della nuova specie stavolta è stato utilizzato il gene ND2 (gene che codifica per una delle 7 subunità dell’NADH deidrogenasi della catena respiratoria). Per coloro che si chiedono perché si utilizzi il DNA mitocondriale occorre spiegare che esso possiede alcune sequenze altamente conservate che permettono l'uso di tecniche e strumenti ben collaudati su un ampio numero di specie. Per qualche spiegazione ulteriore leggete questo post sul Percomorfo.

Ringrazio Jorge Casciotta per aver consentito la pubblicazione delle fotografie di Crenicichla hu.


Crenicichla hu n. sp.

Diagnosi Crenicichla hu può essere distinta dalle specie conosciute del bacino de La Plata per la seguente combinazione di caratteri: corpo e pinne di colore scuro variabile dal nero al marrone scuro; da 7 a 9 macchie scure di forma irregolare sui fianchi; pinna dorsale della femmina a strisce nere e bianche longitudinali. Gli individui di questa specie mancano di qualunque carotenoide anche se alcune femmine mostrano un debole colore aranciato dietro le pinne pettorali.

Distribuzione L'unica località nota è l'arroyo (un arroyo è un corso d'acqua temporaneo simile agli uadi delle regioni desertiche) Piray–Miní che è un affluente del Rio Paraná nella provincia di Misiones in Argentina.

Etimologia Il termine hu deriva dall'omonima parola Guaraní che indica il colore nero.

Ecologia L'arroyo Piray-Miní è caratterizzato da acque chiare e a scorrimento veloce. La profondità dell'acqua varia dai 20 cm a un metro e 40. Il fondale è costituito da fango, sabbia e principalmente da rocce. Alcune aree presentano scarsa vegetazione sommersa.

Note Con questa specie le Crenicichla del bacino del Rio Paraná sono ormai 14: C. britskii, C. haroldoi, C. jaguarensis (queste sono confinate nel corso superiore del fiume), Crenicichla jupiaensis, C. niederleinii (tutte queste sono confinate nella regione superiore e centrale del bacino), C. lepidota, C. mandelburgeri, C. scottii, C. semifasciata, C. vittata (queste specie sono ristrette alla parte inferiore del bacino anche se C. vittata può essere trovata anche nella regione uruguagia), C. iguassuensis, C. tesay (specie presenti unicamente del bacino del rio Iguazú), C. yaha (questa specie è ristretta all'arroyo Urugua–í, bacino del Rio Paraná, e dell'Iguazú al di sopra delle cascate di Iguazú).
Dall'analisi molecolare appare che C. hu è in posizione basale nel clade delle specie endemiche del Rio Paraná e che C. mandelburgeri potrebbe essere in realtà un complesso di specie, ma occorrono ulteriori ricerche (guardate la figura 1 dell'articolo). Cosa vuol dire avere una posizione basale? Speriamo di riuscire a parlarne in un prossimo post.


Piálek L., Říčan O., Casciotta J., Almirón A. 2010. Crenicichla hu, a new species of cichlid fish (Teleostei: Cichlidae) from the Paraná basin in Misiones, Argentina. Zootaxa 2537: 33–46.


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martedì 10 agosto 2010

Polenta e usei

Sono le sei. Sulla strada ci sono solo i camioncini dei muratori che se ne vanno mesti a lavorare a Milano. Ho mosso amici che hanno spostato impegni, mentito a fornitori, clienti, compagne e fidanzate per venire a fotografare i pesci dei fontanili. Li ho portati in un posto sicuro. Quel fontanile non ha mai tradito. Lì abbiamo fotografato la natrice che inghiottiva una sanguinerola. Lì abbiamo immortalato gli scazzoni e lì abbiamo inseguito i piccoli lucci. Sempre lì, ho osservato, io unico privilegiato, le lamprede d'acqua dolce. Oggi realizzeremo un servizio che quelli di National Geographic a confronto appariranno sciaquetta. Ne sono sicuro, sono passato settimana scorsa a controllare e l'acqua ribolliva di ciprinidi in accoppiamento.
Siamo arrivati. Ci cambiamo in fretta. Spostiamo i 50 kilogrammi di attrezzatura. Entriamo in acqua e poco dopo ne usciamo. Nessuno osa parlare, bastano le facce. Non c'è un pesce, neppure a pagarlo. Nel ritorno ci inseguono le immagini di figure furtive che nelle tenebre calano in acqua le reti che raccolgono il pescato reso inerme dall'elettricità delle batterie per auto.
Dalle mie parti, qualcuno, cullandosi in un passato di stenti e di "Era meglio quando si stava peggio", continua ad accompagnare la polenta con gli usei e a volte anche con le bose raccolte nei fontanili. Le multe servono a poco, è un istinto primordiale che viene sopito solo di fronte al piatto fumante.



Ecco come si dovrebbe presentare un fontanile in salute.
© Marco F.

sabato 7 agosto 2010

Tilapia pra, una nuova specie dal Ghana

Gruppo di antica descrizione (1840), le Tilapia stanno vivendo ultimamente tempi interessanti, perlomeno dal punto di vista tassonomico.Nel 1969 Thys divise il genere in tre sezioni con parecchie sottogeneri ciascuno. Ethelwyn Trewavas nel 1983 tolse le specie che incubavano oralmente ponendole in Oreochromis e Sarotherodon, ma ben presto ci si rese conto che le entità rimaste formavano un gruppo ugualmente eterogeneo (1992, Stiassny). Gli studi molecolari del nuovo millennio non fecero che confermare quanto risultava. L'anno scorso un ulteriore studio ha portato un nuovo assalto al gruppo identificando un nuovo clade battezzato Australotilapine (in realtà nello studio in questione si parla di Australotilapinii, ma si tratterebbe di un termine errato perchè riporta un suffisso non riconosciuto dal Codice di Nomenclatura Zoologica). L'aspetto interessante è che le Australotilapine includono anche la specie tipo del genere T. sparmannii e quindi il genere è al riparo da cambiamenti di nome, perlomeno per ora.
Attualmente in Tilapia trovano posto 40 specie (il numero però non sembra concordare in tutte le fonti, temo che dovrò metterci del mio e contarle) che depongono le uova su substrato e che sono caratterizzate da: mascella faringea inferiore (unita al quinto ceratobranchiale) tanto lunga quanto larga con una carena anteriore più corta o al massimo lunga quanto la superficie dentata della mandibola, denti faringei posteriori bicuspidi (a due punte) o tricuspidi, raramente quadricuspidi, braccio inferiore del primo arco branchiale dotato al massimo di 17 denti, due linee laterali, scaglie cicloidi e 21-30 scaglie nella linea longitudinale. Nell'Africa centro-occidentale sono presenti 16 specie di Tilapia: T. brevimanus Boulenger; T. busumana (Günther); T. buttikoferi (Hubrecht); T. cabrae Boulenger; T. cessiana Thys; T. coffea Thys; T.dageti Thys; T. deckerti Thys, T. discolor (Günther); T. guineensis (Bleeker in Günther); T. joka Thys; T. louka Thys; T. maria Boulenger; T. rheophila Daget; T. walteri Thys e T. zillii (Gervais). Inutile rammentare che vi sono anche alcune specie che non sono state ancora descritte scientificamente. Per evidenziare il fatto che queste specie non appartengono al gruppo delle Australotilapine che contiene la specie tipo del genere, gli autori consigliano di utilizzare il nome del genere con le virgolettte (avete presente come si era fatto per Cichlasoma?).

PS: alcune specie portano il nome del descrittore tra parentesi perché all'origine erano state poste in un altro genere.

PPS: prometto che tornerò sulla radiazione dei ciclidi africani e quindi anche sulla posizione sistematica delle tilapia.

PPPS: non ho detto che vi tornerò a breve.


Ecco ora la solita scheda descrittiva della nuova specie. Ringrazio gli autori per aver messo a disposizione la fotografia della nuova specie e in particolare Andreas Dunz per lo scambio di idee avute a riguardo del concetto di specie utilizzato nella descrizione dei ciclidi.



Tilapia pra Dunz A. R., Schliewen U. K. 2010

Tilapia pra n. sp.
© Ulrich Schliewen


Diagnosi "Tilapia" pra si distingue dalla maggior parte delle specie del genere per la presenza di denti faringeali bicuspidi nella seconda fila della mascella faringeale inferiore. La colorazione varia dal marrone chiaro al grigio nella zona dorsale e dal beige al giallo nella zona ventrale. La specie più simile è "Tilapia" busumana che nella zona dorsale può apparire blu-viola o anche nera e più scura nella zona ventrale.


Distribuzione È diffusa nei fiumi Pra, Ankobra, Tano e Bia Rivers nel Ghana sud occidentale e nella Costa d’Avorio sud orientale.

Etimologia Il nome della specie si riferisce alla parola "pra" (fiume) derivante dal linguaggio Kwa parlato in Gana ed al fiume Pra in cui è stato raccolto l'olotipo. Si vuole in questo modo ribadire l'habitat fluviale di questa specie rispetto alla specie più prossima "Tilapia" busumana che ha una distribuzione lacustre.

Ecologia L'olotipo e la maggior parte dei paratipi sono stati raccolti nel fiume Anum su un substrato sabbioso-fangoso. In quel tratto il fiume è ampio dai 5 ai 20 metri ed è circa 1-2 metri di profondità. Attualmente non sono disponibili ulteriori informazioni sull'ecologia della specie.

Note “Tilapia” pra è simile a “T.” busumana, presente nel lago Bosumtwi, e a “T.” sp. aff. busumana “Birim”, presente anch'essa nel fiume Pra. Gli autori ipotizzano che “T.” busumana si sia evoluta da “T.” sp. aff. busumana poichè "T." busumana è endemica del bacino idrografico del lago Bosumtwi, un lago di cratere da impatto formatosi circa un milione di anni fa, mentre l'altra ha diffusione più ampia. Per la descrizione di "Tilapia" pra è stato utilizzato il concetto filogenetico di specie.

Dunz A. R., Schliewen U. K. 2010. Description of a new species of Tilapia Smith, 1840 (Teleostei: Cichlidae) from Ghana. Zootaxa, 2548: 1–21.


Bibliografia

Klett, V. & Meyer, A. (2002) What, if Anything, is a Tilapia?—Mitochondrial ND2 Phylogeny of Tilapiines and the Evolution of Parental Care Systems in the African Cichlid Fishes. Molecular Biology and Evolution, 19, 865–883.

Schwarzer, J., Misof, B., Tautz, D. & Schliewen, U.K. (2009) The root of the East African cichlid radiations. BMC Evolutionary Biology, 3 (186), 1–11.

Stiassny, M.L.J. & Schliewen, U.K. (2003) Etia nguti, a new genus and species of cichlid fish from the River Mamfue, Upper Cross River basin in Cameroon, West-Central Africa. Ichthyological Exploration of Freshwaters, 14 (1), 61–71.

Stiassny, M.L.J., Schliewen, U.K. & Dominey, W.J. (1992) A new species flock of cichlid fishes from Lake Bermin, Cameroon with a description of eight new species of Tilapia (Labroidei: Cichlidae). Ichthyological Exploration of Freshwaters, 3 (no. 4), 311–346.

Thys, D.F.E. (1968) An Annotated Bibliography of Tilapia (Pisces, Cichlidae). Annales Museé Royal de L´Afrique Centrale, Série N-14°, Documentation Zoologique, XL pp. and 406 pp.

Trewavas, E. (1983) Tilapiine Fishes of the genera Sarotherodon, Oreochromis and Danakilia. Trustees of the British Museum (Natural History), London, 583 pp.

venerdì 6 agosto 2010

Ai posteri

Estate 2007, profonda pianura bergamasca:
Scusi non riesco a trovare il fontanile.
Non c'è più, l'ho coperto.
?
Pota, quando uscivo con il trattore mi toccava andare fino in fondo al campo, ora invece svolto subito. Ho anche piantato degli alberi. Un lavoro pulito.



Così finisce la sua storia uno dei fontanili con maggiore documentazione storica.


giovedì 5 agosto 2010

Piccoli Thorichthys crescono

A quasi due mesi dalla nascita vi sono circa una cinquantina di Thorichthys aureus in crescita. Non sono molto grandi, ma vi assicuro che alla schiusa erano davvero piccoli.


Oggi stavo pensando alla dimora estiva (un catino di ampie dimensioni sul balcone) che gli acquazzoni mi hanno fatto desistere. Evidentemente quest'anno non si farà.
Nuove specie stanno premendo per la pubblicazione sul blog, ma trovare le fotografie non è così facile. A presto.